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"Romolo Murri"

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ROMOLO MURRI

LA FILOSOFIA NUOVA E L'ENCICLICA CONTRO IL MODERNISMO


1908


Indice


Al P. Ludovico Billot, S. I.


Prologo — Lettera ad un amico immanentista


Capo I. Scuole filosofiche moderne alle quali mira l'enciclica.


Capo II. La filosofia della religione.


Capo III. La critica storica e la filosofia della fede.


Capo IV. Monismo e dualismo.


Epilogo — L'oggetto della fede.


Appendice — La filosofia del modernismo.





Al P. Ludovico Billot, S. I.



Maestro,
ella ricorderà un antico alunno, del Collegio Capranica, che le parve già non indegno della Sua filosofica benevolenza, ma del quale ha forse poi lamentato i «traviamenti dottrinali», sentendo parlar di questi con insistenza da molti.

Quell'alunno non ha mai traviato; escendo dalla Sua scuola,egli e passato attraverso a un periodo di educazione e di ricerca positiva e vi ha allargato gli orizzonti del suo pensiero e vi halasciato la scoria delia precedente angusta educazione mentale, conservando intatti i principii della scuola, quelli del più severo e coerente tomismo, che gli sono poi giovati mirabilmente per orientarsi nel labirinto delle correnti filosofiche moderne.

Dopo l'enciclica Pascendi, quando, per una confusione della quale molti hanno, egli ritiene di non aver colpa, la condanna di un sistema filo so fico — il monismo idealistico — che e veramente incompatibile con il domma cristiano, parve essere la condanna di ogni sana e vigorosa modernità nel cattolicismo, questo Suo antico alunno ha creduto di dover dedicare di proposito alcune ore alla tradizione filosofica che era l'anima del suo pensiero, per trarsi fuori da una mischia la quale non lo riguardava. Frutto di questo raccoglimento filosofico e il presente volume intorno al monismo e all'immanentismo fideistico contemporaneo.

Nel linguaggio di uno che e vissuto molto tempo in contatto frequentissimo col pensiero moderno, ed ha avuto una speciale preoccupazione di prenderne il buono e l'utile, ella, Maestro, che è così acuto, riconoscerà, facilmente la filosofia antica e le posizioni sostanziali e fondamentali di essa. E se, destata la curiosità, ella vorrà riprendere in mano tutti i miei scritti precedenti, ella troverà, forse con sorpresa, che io me ne sono sempre giovato, non solo,ma l'ho spesso difesa, meritando anche le lodi di qualche sereno tomista che forse non le è ignoto.

Ma da lei anche. Maestro, benché ella abbia esercitato la Sua ricerca solo nella cerchia della filosofia del domma cattolico, alieno per abitudine e per ufficio dalla ricerca storica e filologica, questo alunno ha imparato a non ripetere macchinalmente ma a riprendere come una tradizione viva il pensiero antico: da lei che, ad esempio, nella Sua dottrina della causazione sacramentale ci ha dato un vero sviluppo dell'antica posizione dell'efficienza fisica, e che nei trattati sull'Incarnazione o sull'Eucarestia e così vivacemente e così giustamente insorto contro la degenerazione che il pensiero scolastico originario aveva subito nella scuola stessa, per opera, particolarmente, di alcuni padri della Sua Compagnia.

Un giorno, se qualche curioso di storia della filosofia vorrà esaminare da vicino i documenti della presente controversia filosofica in Italia, egli riderà di cuore dell'assurda favola che ha fatto di questo Suo alunno un seguace dell'immanentismo o del monismo; egli noterà che la filosofia antica, se era profondamente ignorata e travisata da quelli che pretendevano di combatterla,era altresì ignorata e travisata da molti di quelli che ne assumevano le difese e che pure non si riconoscevano nelle più pure ed autentiche derivazioni di essa; e forse, per la quasi identità di alcune posizioni sostanziali, avvicinerà questo mio volumetto ad un altro Suo, nel quale ella mi permetterà, di vedere un prodromo dell'enciclica Pascendi, e che ella vedrà citato in queste pagine.

Ora poiché da Lei l'autore di esse pagine ha imparato a conoscere e gustare, con un piacere intellettuale che e stato il solo grande conforto della sua giovinezza, questa filosofia, era giusto che il Suo nome fosse in capo al presente volumetto.

Accanto al Suo, Ella permetterà sia pure ricordato il nome di un altro studioso e maestro, che era all'estremo opposto del pensiero filosofico, ma al quale chi scrive deve anche moltissimo, perché da lui ha imparato il metodo positivo: il nome di Antonio Labriola. Senza di questo maestro, la filosofia appresa da Lei sarebbe giovata forse solo ad annoiare dei giovani chierici dalla cattedra di una piccola scuola di provincia ed a scrivere delle dissertazioni accademiche e pedanti che nessuno — all'infuori di pochi iniziati — avrebbe letto; per merito del prof. Labriola — che lo previde, senza rammaricarsene — essa e divenuta succo e nerbo di un pensiero vivo, ed e giovata ad agitare coscienze, in un'opera difficile di sincerità logica e di risveglio spirituale.

Questo alunno. Maestro, è il

sac. Romolo Murri.


Indice




Prologo — Lettera ad un amico immanentista



Caro X, Mi sorprende che ti sorprenda il mio atteggiamento. Io voglio rimanere nella casa paterna, nella tradizione viva, intendo dire, del pensiero cristiano. Negare che questa tradizione viva esista, è dire che lo sforzo dello spirito il quale agisce nella Chiesa—diciamo meglio, nella religione del Cristo — per intendere ed assimilare e pervadere tutto lo spirito umano, si sia interrotto, da parecchio tempo; che la Chiesa non sia rimasta altro che come organizzazione esterna apparente, continuatasi per forza di inerzia, come spirito che si arresta e si inverte e si diffonde in estensione, in apparenza, in materia, per usare una terminologia che ti è cara; è supporre spezzata, e da tempo, l'unione viva, che è trasmissione di forze, fra il Verbo creatore e rivelatore il suo strumento di azione religiosa nel mondo, il corpo mistico della Chiesa. Più e peggio ancora, negare a me il diritto di riattaccare il mio sforzo di comprendere la vita religiosa e i suoi valori, risalendo, per una tradizione ininterrotta di pensiero, ai primi secoli della Chiesa, è gittar via, come esteriorità vuota e solidificata, tutto il pensiero filosofico del cattolicismo, dall'alto medio evo ad oggi; è, in fondo, negare definitivamente la Chiesa, o, che è lo stesso, farne una apparizione intermittente, un orientamento spirituale che agisce o si addormenta o dilegua secondo che le condizioni di pensiero e di azione, prodotte da altre cause, le sono o no favorevoli; è, a ogni modo, dire che noi dobbiamo saltare molti secoli, nella storia esterna del cattolicismo, per ritrovarne il corso vivo e normale; è pensare, troppo audacemente, che, non avendo saputo conservarci in esso, noi, ora, profondamente modificati da tanto corso di storia, così intimamente altri da quel che lo spirito umano era dodici secoli addietro, sapremo ritrovare, e, riconoscere, in tanta dispersione di elementi varii, il profondo filone originario; e infine — e questo appunto. voi assumete — appellare dalla Chiesa storica a una nuova e presente esperienza, del divino, criterio sovrano di quello che del passato convenga rigettare o conservare o rinnovare, attività creatrice di nuovi riti, di nuovi simboli, di nuovi istituti.

So bene quello che tu mi rispondi; se la tradizione di pensiero, di orientamento filosofico, si è interrotta, è rimasta inalterata la tradizione vitale, la prassi salvatrice dello spirito. Ma questa è una delle vostre inconcepibili audacie di affermazione, la quale dimostra, in fondo, la disorganicità — temporanea e potentemente suggestiva, lo ammetto, perché essa non è che la multiformità dello sforzo verso una sintesi filosofica non ancora raggiunta — del vostro pensiero. Voi ci avevate detto che l'azione, quella profonda e trascendentale, si plasma, come suo strumento di azione, anche l'intelligenza e le varie posizioni mentali di questa. Ma non ci avevate detto che essa è capace di darci così la sua espressione come la sua caricatura; che l'orientamento prammatico della vita religiosa nel cattolicismo poteva rimanere lo stesso, giungendo ad una rappresentazione intellettuale falsa di sé e permanendo in questa; che la virtù creatrice di questa azione è tanta da porre un Dio che, non essendo fatto della nostra, stoffa reale, né sdoppiamento proiezione esponente del nostro io personale, ma trascendendo, assoluto in sé e solo, tutta la natura, nell'insieme e nel corso di questa, è un Dio puramente immaginario, come sarebbe appunto l'antico Dio della filosofia scolastica; e, che insieme quella virtù creatrice è cosi labile, così soggetta ad errore da contentarsi, per più e più secoli, di arbitrarie ed erronee finzioni teoriche ed esaurirsi nella tutela di un vano concilio di idoli mentali.

Se la vostra dottrina è altra dall'antica, è ovvio che il cattolicismo non sappia che farne; se essa continua l'antica, deve bene poter accettarne le posizioni fondamentali, ed armonizzarsi con queste; se l'azione divina la quale è in fondo al processo storico che chiamiamo Chiesa non si è interrotta, lasciateci pensare che essa ha conservato, riflettendosi nell'intelligenza umana, le linee caratteristiche del suo «spettro mentale»; in altre parole, se la Chiesa è continuità, lasciateci ritenere che essa è anche continuità di pensiero.

So bene quel che tu puoi rispondermi ancora. Tu mi mostri gli scritti dei cattolici ortodossi miei contemporanei .e mi .inviti a dire se è in essi la mia filosofia. Ed io ti rispondo: sì, è in essi; ed io so trovarcela. Essi l'hanno via via trascritta, ma come uomini che ignorassero la lingua originaria del documento trascritto; l'hanno presa così come era in certi loro predecessori, accettando promiscuamente dottrina e chiose, posizioni originarie e riferimenti secondarii e contingenti, e chiosando poi a loro volta interminabilmente le chiose, in luogo delle dottrine, sillogizzando i riferimenti secondarii e derivati in luogo degli originarii e sostanziali; ma, in somma, chi l'ha, quella dottrina, chi la riconosce, la trova anche in essi, e può ricostruire fra essi e gli antichi, dai quali la ricevettero come discepoli torpidi, il nesso continuativo.

Ma tu hai ancora una obiezione in serbo, e questa, a parer tuo, capitale. Tu dici: noi vogliamo finirla con le metafisiche; il nostro pensiero, figlio di tre secoli di empirismo, non si lascia più commuovere dalle vostre fredde astrazioni razionali; e se il Dio nel quale dobbiamo credere non entra nella nostra coscienza e nella nostra esperienza, se non è anzi questa coscienza medesima, l'assoluto dello spirito religioso, ma un assoluto che si estrinseca e diviene e si realizza via via nel relativo delle coscienze fenomeriche e passeggere, esso ci lascia indifferenti. E qui si nasconde il vostro equivoco fondamentale e fatale. Ponetelo intimo quanto volete, il vostro Dio, dichiarate di sentire la sua presenza, di averlo immanente in voi, di cercarlo nella coscienza e nella volontà buone; ma lasciate, se volete essere e dichiararvi cattolici, che egli sia il Dio di Gesù, quello che questi ci ha insegnato: Il Padre, che sta nei cieli, il Dio dei viventi. Vivente, egli primo e ragione per tutti e fonte di vita. E lasciate anche che il Cristo sia tolto al succedersi dei fatti dello spirito, che Egli sia collocato unico, fra Dio e la storia, come mediatore ; che il Cristo vivente sia per noi non un frutto del nostro spirito, commosso e come gonfiato da una grande esperienza collettiva, ma il Maestro, come fu per quelli che lo conobbero in vita ; e che per andare a lui bisogni escire veramente dalla casa e dal paese proprio, lasciare quello che si ha e seguirlo, e cercare il suo insegnamento in una grande tradizione storica riconoscibile per dati esterni, in una società di credenti, sorta dalla sua iniziativa e continuatasi per il suo appoggio. Dio assoluto ed eterno, distinto dalle sue creature, e Cristo figlio di Dio, rivelatore e redentore, noi abbiamo bene il diritto di dire che su queste due affermazioni fondamentali, su questi due «misteri» riposa il cattolicismo. Ebbene, c'è in questi due enunciati, così semplici e pure così fondamentali, implicita una metafisica (e questo il libro che io ti offro tende a dimostrare); voi non potete accettare quella senza questa: voi non potete creare di fronte a questa un'altra metafisica, senza opporre a quelli altri dommi; ed in realtà, sii sincero, voi non accettate quelli così come li accetta e li pone il cattolicismo tradizionale.

Ardua cosa è dunque liberarsi da una metafisica. E di fatti la metafisica che vi spaventa non è che il pensiero razionale; esso, sin nei più umili dati, non si esercita che filosofando; e quella che tu chiami metafisica è solo la consapevolezza che l'uomo va faticosamente acquistando delle leggi e della natura del suo pensiero e delle cose che questo riflette.

Tu vedi dunque come per me sia una cosa sola aderire al domma antico ed alla filosofia antica. Ma all'uno ed all'altra aderisco, poi, per considerazioni pienamente indipendenti; in questa che tu chiami scolastica io non cerco una filosofia ai servigi della fede; essa ha, nel mio spirito, consistenza pienamente a sé e nulla oramai, credo, saprebbe staccarmene; è la legge e la struttura del mio pensiero razionale, è il mio pensiero medesimo. E non mi ha impedito, come sai, di accettare pienamente i criteri ed i metodi dell'indagine positiva, e di sollecitare e di promuovere quella revisione critica del nostro patrimonio di cultura, la quale è il tormento ed il vanto della vita nostra. Se questo era, per la filosofia antica, l'experimentum crucis, essa lo ha, nel mio spirito, felicemente superato.

Del resto, tu ed i tuoi amici non avete il diritto d'essere così intransigenti, alla vostra volta; sareste ingiusti facendolo.

Quando io ho appoggiato l'una o l'altra delle vostre iniziative, io sapeva che cosa ci divideva inizialmente e si sarebbe più tardi rivelato chiaro anche agli altri i quali, ignari e superficiali, ci confondevano in uno. Io non era con voi, ma non ho accettato l'atteggiamento della polemica ufficiosa ortodossa verso di voi; vi ho seguito, incoraggiato e favorito, con una intima simpatia per l'intenso spirito religioso che vi animava, pensando che nei vostri sforzi generosi e nelle vostre posizioni caduche si elaborava tuttavia, per ricollegarsi più tardi alla fonte originaria, un risveglio del pensiero religioso e cattolico. Io sapeva e sentiva che questa teologia la quale, per la sua pigrizia mentale e per interessi di dominio di quelli i quali se ne erano fatti patroni e rappresentanti autorizzati, si era lasciato sfuggire il dominio del pensiero moderno, che fra sé e la scienza aveva elevato delle barriere grette e noiose, che aveva irritato e respinto i cercatori della verità nelle scienze della natura, che si era messa volontariamente nell'impossibilità di intendere il mondo moderno, il suo pensiero e le sue aspirazioni, non aveva più il diritto di porre agli uomini questa alternativa: o accettate il Dio che io vi presento o rinunciatela credere in Dio o ad occuparvi di Dio; o siate religiosi come sono le donne devote ed i contadini che ci seguono ancora, o dichiaratevi irreligiosi.

E poiché essa, questa polemica ed apologetica ufficiosa, non era riescita a fare del piccolo mondo nel quale chiudeva i suoi alunni un sistema chiuso e isolato, e le influenze del mondo moderno penetravano in questo sistema, ed essa aveva così anche veduto sparire l'efficacia educatrice dei suoi metodi e dei suoi principii antichi, ho pensato che questa equanimità, questa benevolenza affettuosa e condiscendente andava anche estesa a quelli che escivano dalle sue scuole, ma che — escendone magri e digiuni — s'affrettavano a cercare altrove la luce e il calore di un pensiero vivo e operoso.

Forse, guidata dall'amore e dalla bontà, la teologia ortodessa e ufficiosa si sarebbe avvicinata a questo mondo di pensiero moderno, lo avrebbe studiato, avrebbe visto che cosa la univa ad esso, che cosa era buono a prendere, che cosa aveva diritto di vita senza attendere o chiedere il suo beneplacito, e così, analizzando ed integrando, avrebbe anche ritrovato se stessa; e questa crisi così profonda e dolorosa di pensiero non sarebbe certamente avvenuta, od almeno non sarebbe certamente stata così profonda e così dolorosa.

Oggi c'è, tutto intorno alla Chiesa, che non è da identificare con la teologia ortodossa, una vasta zona di attività e di aspirazioni spirituali, sulla quale quella, come potente nucleo centrale, esercita la sua attrazione, ma che insieme è aperta a tutte le influenze della più vasta zona esteriore in cui si muove, libera da ogni influsso religioso, la ricerca storica, filosofica, positiva. Guai se il cattolicismo riescisse, come molti sembrano voler tentare in suo nome, a elevare fra sé medesimo e questa zona un sistema isolatore; esso cesserebbe di essere di questa terra, finirebbe con lo staccarsi intieramente dal corso e dall'ambito della storia che gli uomini fanno. Sarebbe come un corpo vivo il quale volesse sottrarsi alla materia nella quale è immerso e dalla quale trae l'alimento. Ma insieme, se esso si isolasse, nel mondo dello spirito, e si chiudesse in sé, agli elementi diversi, che turbinano in questo zona media di religiosità diffusa e incoerente, mancherebbe il centro di raggruppamento: l'unità invisibile ma profonda della vita del pensiero religioso nei popoli nostri sarebbe scissa.

Io non vi fo torto considerando voi come situati in questa zona media. La vostra volontà di aderire al cattolicismo mostra che voi non volete escire dall'influenza di questo nucleo centrale che vi attrae, ed insieme la libertà di ricerca e di azione che voi reclamate, anche a costo della scomunica, cioè di una divisione da voi considerata solo come esteriore ed apparente, ma che costituisce pur sempre una vera e pericolosa distanza dagli organismi e dalle attività del corpo ecclesiastico, mostra che voi non sapete essere intieramen:e con essa, ripigliandone e continuandone la tradizione viva.

Se voi rinunziate a riconoscere ed accettare nel nucleo centrale la presenza di qualcuno che, non essendo con voi, vi comprenda e vi apprezzi e vi ami e voglia essere in relazione con voi, potrebbe dirsi che rinunziate, in realtà, ad appartenere ad una Chiesa che non sia mera fattura del vostro spirito, non sia coesione provvisoria ed instabile di elementi eterogenei, che si va facendo e spostando e dissolvendo in quella zona media della quale io vi parlavo, fuori dell'attività centrale e centralizzatrice del Logos e della sua Chiesa.

Io ho caratterizzato una posizione; posizione la quale è diversa da quella di coloro fra i vostri che, reclamando una piena libertà di azione, affrontano un distacco netto dalla Chiesa, e da quella, meno simpatica, di quegli altri che, per rimanere nella Chiesa, si ripiegano su sé stessi e si nascondono, o si creano quasi una doppia personalità, l'una di scrittori anonimi anonimamente scomunicati, e l'altra di cattolici ortodossi viventi nell'unità formale di rito e di disciplina.

Che io occupi la posizione da me caratterizzata non oso dire; ma questo posso dire, che essa è innanzi al mio pensiero ed al mio desiderio.

Spero che tu apprezzerai la mia intenzione, se pure non apprezzi il mio atteggiamento nelle sue ragioni e nel suo valore oggettivo; ma son certo che anche questo apprezzereste, tu ed i tuoi amici, se foste capaci di fare una trasposizione mentale, che la salute e l'unità del cattolicismo richiedono in questo momento; trasferire cioè al di dentro di esso lo sforzo che voi vi mettete nel rischio di fare dal di fuori; considerare la critica positiva, come, un continuarsi e diffondersi della ragione che cerca dì intender le, cose per giustificare la sua fede senza pretendere di razionalizzarla o, che è lo stesso, di cessar d'essere ragione ragionante per convertirsi essa stessa tutta quanta in fede; considerare la filosofia moderna, non come una inversione dell'antica, ma come sforzo dell'antico e perenne atteggiamento filosofico del pensiero cristiano per. ricomporsi intorno gli elementi di una sintesi che lo sparire della vecchia cultura medioevale, sulla quale esso aveva operato, ha momentaneamente scomposto; considerare il cattolicismo, non meramente come una variabile in funzione di altre variabili, ma come un principio dato che entra nelle variazioni della storia per condurla, con lento processo di assimilazione, a comporsi via via nell'espansione meravigliosa di cultura e di attività spirituale; la quale è in germe in quei principii cristiani che ci appariscono come il punto di inserzione del divino nella storia e che si costituiscono poi in organismo di dottrine e di attività spirituale nella Chiesa medesima.

Noi siamo certo, amico, a un punto decisivo della storia del cattolicismo. Se esso non riescisse a ricollocare saldamente la credenza che porta con sé sulla ferma base di una apologetica razionale, se il dissidio secolare fra ]a fede e la ragione dovesse finire con la morte dell'una e dell'altra, e non piuttosto con il riconoscimento di questa verità così antica, che la ragione o la critica, esercitantesi intorno al suo oggetto proprio, non può venire a conclusioni antitetiche a quelle della fede, e che quindi le contraddizioni sono una illusione dei critici... o dei teologi, sono ignoranze da rimuovere, non dissidio irreparabile, sarebbe anche finita pel cattolicismo.

Ma io penso, con tutto il mio animo, che così non sia. Quest'ora di tempesta e di lotta non impegna i beni supremi e perenni del cattolicismo; una crisi profonda c'è, ma è crisi di formazioni parassitarle, di tradizioni storielle superate, di stati d'animo tenacemente aggrappati alla fede che si disgregano; è, in altre parole, la crisi, o meglio, la fine del clericalismo.

E contro questo, come sai, io ho appuntato i miei sforzi, dopo che esso si è applicato a distruggere, con incredibile tenacia e violenza, tutto quello che, dai primi anni del mio lavoro, io tentai a vantaggio d'una rinascita spirituale in Italia la quale fosse fatta nello spirito e con l'opera del cattolicismo.

E l'esperienza lunga e dolorosa delle condizioni morali, di questa società cattolica che il clericalismo minaccia mi ha condotto, o amico, ad un giudizio che è l'inverso del vostro. Non la fede è mancata a questa società, ma le è mancato l'amore: l'amore cristiano, che soffocò un ardente e tenace spirito di dominio, la confusione, caratteristica della società medioevale, di quello che era di Cesare e di quello che era di Dio. Questo Medio Evo vizia si il pensiero in parte, ma più vizia l'animo; se dei due vincoli di continuità, la dottrina e la prassi, uno, e uno solo, dovesse dirsi spezzato, assai più giusto, io credo, sarebbe dire che fu spezzata la tradizione dell'amore e la fede giacque morta, in molti, per difetto delle opere.

Credimi tuo

R. Murri.


Indice





Capo I. Scuole filosofiche moderne alle quali mira l'enciclica.



§ I. — Il rinascere d'una questione filosofica nel cattolicismo.


Sino a pochi anni addietro una questione filosofica pareva non esistere nel seno del cattolicismo. Messo fuori di combattimento l'ontologismo, giobertiano e rosminiano, al quale non rimanevano che pochi e dispersi seguaci, sopite, almeno esteriormente, dopo la nota enciclica Aeterni Patris, con la quale Leone XIII richiamava le scuole cattoliche alla filosofia di San Tommaso d'Aquino, le piccole differenze che si erano insinuate nelle stesse scuole cattoliche a proposito del concetto di materia e di corpo, durante tutto il pontificato di quel papa parve concorde ed universale la pacifica armonia fra la fede cattolica, adagiata nel sistema che le avevano dato i teologi delle scuole, e la filosofia tradizionale delle scuole stesse.

Ma il dissenso, e un dissenso assai più vasto e radicale, era rinato rapidamente in questi ultimi anni. E questa volta non fu il clero che si mosse primo. Alcuni cattolici studiosi che escivano, in Francia, dai corsi filosofici delle scuole di Stato e si dedicavano all'insegnamento, non si potevano contentare di lasciar dormire in pace la loro fede accanto ad una filosofia estranea od ostile: essi vollero, nella loro coscienza, rifar l'armonia fra le due cose. Lo stesso indirizzo filosofico al quale aderivano li portava a intendere le dottrine come elementi di vita, suscitati e criticati dalle esigenze di questa, e quindi a cercare in una sintesi vitale delle dottrine professate non una astratta armonia di idee, ma l'armonia del loro spirito stesso. Terreno propizio di questa crisi è stata la Francia; Ollé-Laprune, Fonsegrive, Blondel, Le Roy, tanti nomi, tante varietà di questa rinascita del problema filosofico nel cattolicismo.

Ben presto la crisi e le nuove idee interessarono profondamente anche il clero, cominciando da quello che viveva in più frequenti contatti col mondo universitario e studentesco. La scolastica, come era stata ad esso insegnata, aveva avuto poca presa nel suo spirito; era più una «consegna» gerarchica che un profondo ed organico convincimento. Inoltre, nello stesso periodo di tempo, alcuni studiosi cattolici sacerdoti ebbero, la prima rivelazione chiara della gravità di certi risultati ai quali portava, coltivata obbiettivamente e senza pregiudizi teologici, la critica storica e filologica esercitantesi sui documenti del cattolicismo. Colpito in alcuni punti che tutti allora convenivano nel giudicare sostanziali, tutto il sistema teologico parve scosso e vacillante; era quindi facile, specialmente per chi voleva porre in salvo la fede, dar la colpa di questa fragilità improvvisamente rivelatasi alla filosofia scolastica, trama sottile ed occulta sulla quale parve intessuta la teologia tradizionale ortodossa, e cercare in altri sistemi filosofici un nuovo e più solido appoggio per la rivelazione e per la teologia.

Questa seconda crisi si è pure svolta con rapidità vertiginosa, in due decennii appena; e ad essa è unito, fra tutti, il nome di un prete francese, che è un critico ed uno scrittore di primo ordine, Alfredo Loisy. Altri nomi sono pur noti a tutti; e ne troviamo anche in Italia, dove invece era mancato intieramente l'altro movimento filosofico, laico e universitario; e ciò spiega il fatto che teologi e critici italiani del cattolicismo sieno pressoché tutti, quanto a filosofia, tributari della Francia.

La rivoluzione che ferveva negli animi fu, si può dire, proclamata da due pubblicazioni celebri: l'Action, di Blondel, e l'articolo Qu'est-ce qu'un dogme? di Edoardo Le Roy, pubblicato sul principio del 1905 dalla Quin-zaine, e che diede subito luogo ad una polemica alla quale presero parte i più insigni studiosi di filosofia e di teologia, in Francia.

Per tutti gli spiriti destati da quel vasto movimento di risveglio, di revisione critica e di atteggiamenti nuovi, che fu poi designato col nome di modernismo, la questione filosofica assunse rapidamente una importanza enorme. La philosophie nouvelle attraeva gli spiriti indeboliti dal lungo digiuno scolastico con un fascino meraviglioso; la questione critica, che pure ha, a parer nostro, una importanza, sotto molti aspetti, maggiore, parve passare in seconda linea, in questo ultimo tempo che coincide con il silenzio di A. Loisy, dopo la condanna dei suoi scritti; e dopo un breve ed inefficace tentativo di regolar questa per mezzo del recente Sillabo, è venuta l'enciclica Pascendi dominici gregis, la quale si occupa tutta, e potremmo anche dire solamente, si vedrà poi in qual senso, del problema filosofico.

Questa enciclica è, indiscutibilmente, di una grande importanza, perché la Chiesa romana ha posto su di essa tutto il peso della sua autorità, manifestando anche una irritazione e una preoccupazione profonde, frequenti nelle dispute teologiche, ma insolite nei documenti dottrinali delle autorità supreme. Ed essa è, come dicevamo altrove, il tentativo fatto dalla teologia romana di respingere e di espellere una filosofia estranea ed ostile, che è giudicata minacciare, anzi rovinare dalle fondamenta, insieme con la filosofia tradizionale del pensiero cristiano, le basi stesse del domma cattolico.

Importa quindi sommamente vedere quale sia la filosofia contro la quale è diretta l'enciclica, e come questa filosofia si presenti agli occhi di un osservatore sereno ed imparziale, per poter poi giudicare anche quale sia ora e possa essere in un avvenire prossimo l'atteggiamento delle varie scuole o correnti filosofiche, teologiche, critiche, di fronte al nuovo documento pontificio e quindi anche all'autorità romana ed alla Chiesa.

In questo studio, nel quale portiamo una grande serenità d'animo (poiché chi scrive non è in alcun modo colpito dall'enciclica, anzi può non avere alcuna difficoltà di accettarla sostanzialmente, mentre è insieme fra i più rei e sospetti di modernismo) ed una, non certo sufficiente, ma non affrettata né superficiale conoscenza dei sistemi filosofici contemporanei e della stessa scolastica, noi faremo cosa che né l'enciclica fa, né quei pochissimi che, sotto il velo dell'anonimo o apertamente, si sono affrettati a prender posizione contro di essa, sembrano voler fare: distingueremo. Cercheremo cioè di cogliere, nell'enciclica stessa ed in coloro contro i quali è rivolta, una serie digradante di momenti e di atteggiamenti di pensiero; di discernere, così, i contorni precisi del campo di battaglia che il fumo della polvere e il difetto di sicure esplorazioni sembrano aver nascosto agli occhi di molti.


§ 2. — La filosofia della contingenza.


Noi dobbiamo evidentemente rivolgere l'occhio innanzi tutto alla filosofia moderna che si è svolta all'infuori di qualsiasi influenza della Chiesa, seguendo il corso ovvio delle idee, da Kant, anzi dal rinnovamento dei metodi positivi, che ruppero l'armonia dell'antico realismo dualistico (con questo nome designeremo in seguito la filosofia tradizionale) ad oggi. Da essa sorgono i laici cattolici dei quali parlavamo sopra; e siccome i suoi maestri e fautori non si preoccupano in alcun modo del conflitto nel quale le loro idee filosofiche li pongono con la teologia tradizionale, cattolica e pro-testante, così ci sarà più facile, esaminando le loro filosofie, cogliere il dissidio essenziale fra essi e il pensiero dell'enciclica. Questa infatti confessa nettamente che il termine ovvio della filosofia condannata è l'atei-smo: e questi filosofi concludono senza ambagi a un concetto di Dio o meglio del divino che essi non chiamano, ma che la Chiesa romana dal suo punto di vista può bene avere il diritto di chiamare, ateismo.

Per brevità — perché non possiamo qui fare una vasta rassegna della filosofia contemporanea — indicheremo sommariamente il pensiero essenziale di due scuole, le più note e fiorenti: la filosofia della contingenza francese, e il prammatismo anglo-americano[1].

Ambedue esse rifanno in qualche modo il processo che la filosofia tedesca ha fatto dal criticismo kantiano all'idealismo egheliano. Il loro punto di partenza è infatti la critica della conoscenza di Kant, con un doppio radicale mutamento, atto a risolvere la contraddizione implicita e fondamentale che era nel sistema di Kant; sopprimere il noumeno, facendo rientrare, per la via dell'esperienza interiore, nel campo del fenomeno tutto quello che allo stato attuale dell'indagine scientifica potrebbe essere detto l'ulteriormente conoscibile, o la massima realtà dell'essere e delle cose, e sopprimere le categorie a priori della conoscenza, risolvendo il dissidio fra queste forme soggettive e i dati dell'esperienza col fare del conoscere un momento, ed il più perfetto, della stessa esperienza fenomenica, che diviene così autoesperienza.. Con che il pensiero ci è presentato, non come specchio di una realtà, distinta da sé, sia essa il fenomeno dei positivisti o il noumeno degli spiritualisti, ma come questa realtà stessa, che è fenomenica insieme e noumenica (manifestazione = realtà), come questa realtà culminante nel suo divenire alla sua maggiore espressione: il pensiero, che è quindi considerato come la forma più pura e il criterio più alto della realtà; di qui l'esse est percipi, o l'idealismo, detto da altri personalismo, nel quale tutti convengono. Iddio, come realtà pienamente distinta dal mondo e dalla coscienza, la natura ed il corpo come realtà di altro ordine, irreducibile alla realtà dello spirito e del pensiero, le nature intese come soggetti totali permanenti di predicazione, distinti quindi anche essi sia da tutte le altre nature, sia dalle loro proprie attività e manifestazioni, non hanno significato, in questa filosofia.

Il dualismo di conoscente e conosciuto, di io e non io, è risolto da questa filosofia all'origine stessa della doppia serie, nel pensiero-azione o pensiero-essere; il vuoto delle categorie astratte, che è stato lo scandalo di tutta la filosofia critica moderna (e che il nostro ontologismo tentò di risolvere facendo della nozione dell'essere una intuizione del divino) è risolto facendo invece di esse l'auto-coscienza dello spirito, l'intuizione della realtà. Di qui il concetto dell'immanenza del pensiero nell'essere e dell'essere nel pensiero, concetto che può essere ridotto all'altro dell'identità dei distinti[2].

Bergson, nel suo ultimo volume[3], sostiene, con grande genialità poetica, un monismo evoluzionistico del quale l'uomo è il più alto portato e nei limiti del quale solamente ha valore e significato la ragione umana. W. James conclude il suo libro su l'esperienza religiosa osservando il dovere (dovere di lealtà e sincerità scientifica) che abbiamo di riconoscere all'esperienza religiosa una realtà ed un contenuto proprio, come un modo di vivere o di sperimentare il reale distinto dagli altri, concludendo quindi all'esistenza di ulteriori momenti o forme o persone della realtà totale, che ci si comunicano inizialmente nella subcoscienza e che entrano così nell'ambito della nostra esperienza. Esse possono essere una od anche molte (pluralismo); noi non possiamo dirne nulla.

Questa filosofia non va quindi in nessun modo confusa, evidentemente, col materialismo volgare che ci è così noto. Questo spiegava il pensiero quale epifenomeno psicologico della vita organica; ed essa, al contrario assegna allo spirito il suo posto di momento superiore e culminante dell'evoluzione del reale e, invertendo il rapporto fra le cose e l'uomo, tenta piuttosto di spiegare quello che è inferiore per mezzo di ciò che è superiore, la materia per mezzo del pensiero. E poiché la vita dello spirito da luogo alla categoria della libertà ed alle categorie etiche che ne sono la conseguenza, questa filosofia ha dato luogo a una critica del determinismo e dell'empirismo materialistico, che è il suo aspetto più originale ed il suo maggior titolo di gloria.

Abolita la natura, abolita la distinzione costituzionale (morcelage) dei varii esseri, abolite le categorie di causa, spazio, tempo, ecc., come previe all'atto del nostro intendimento, non solo, ma come condizioni fisse di una parte del reale, la realtà spirito (e noi abbiamo oramai il diritto di occuparci specialmente di questa) è tutta collocata e fusa nell'attualità della psiche; attualità che non va interpretata con le categorie della quantità, dello spazio, del tempo concepito spazialmente, come successione di momenti distinti e percepiti e percepibili separatamente, (nozione criticata con fine analisi dal Bergson) ma che è accrescimento qualitativo, differenza di valore, tempo inteso come flusso continuo, come perenne sgorgare dell'essere da sé stesso, come posizione nuova, ad ogni istante, e non precedentemente determinata. Di qui fra i momenti o collaterali (teoria del miracolo di E. Le Roy) o successivi del reale un rapporto di connessione o successione, intrinseca bensì, ma contingente, non determinata; ogni istante è in qualche modo un comincia-mento assoluto, una creazione, per rapporto al momento previo; ma è insieme una maggior somma (noi siamo quasi inevitabilmente legati alle immagini quantitative) di essere, un valore più grande; perché nulla si perde, e l'evoluzione è azione, è creazione, che non dipende da nessuna legge esterna, anzi che non dipende da nessuna legge (la legge è un morcelage ed una nostra posizione schematica); se pure non si voglia chiamar legge questa stessa esigenza irrefrenabile, questo precipitarsi di tutto l'essere verso il suo momento ulteriore, che è il più intimo nocciuolo del reale ed il culmine, oggi raggiunto, della meditazione filosofica.

Da che apparisce il posto occupato nello stesso sistema dall'azione. L'azione è in qualche modo quello che era per Hegel l'idea. Tutto diviene mobile, diremmo quasi auto-mobile, in questa filosofia: tutto perde i suoi caratteri specifici e individuali per fondersi nella profonda realtà totale; tutte le nozioni, espresse e intese già staticamente, rimangono, ma per assumere la mobilità del sistema ; tutte, esse e le loro varie sistemazioni, sono fatture e momenti dell'azione profonda, alla quale si riferiscono.

Uno dei più logici ragionatori di questa teoria, il quale ha un posto eminente nella philosophie nouvelle, ed il cui radicalismo è stato anche criticato da critici spassionati come il Poincarè e il Duhem[4] e dal maestro della filosofia dell'azione, Blondel, è il Le Roy: del suo pensiero dovremo tornare ad occuparci a parte; ma da lui prenderemo alcune brevissime citazioni, per meglio e più facilmente indicare i tratti essenziali di questa veduta filosofica.[5]

La filosofia del Le Roy, che è, nelle linee sostanziali, quella di Bergson e della philosophie nouvelle, è l'idealismo, in opposizione al realismo, l'identità del pensiero e dell'essere. Per il realismo, l'oggetto, la cosa, è distinta dal pensiero, «suscettibile d'essere posta indipendentemente da ogni conoscenza vicina o lontana, da ogni pensiero implicito o esplicito». Ma «questa tesi è smentita e confutata, in modo che si può dire definitivo, dal lavoro critico di tutta la filosofia moderna. Non c'è fatto bruto; l'idea, cercando un oggetto, non trova che sé stessa; il reale, concepito come puro dato, fugge senza fine avanti al pensiero critico... Il pensiero si trova sempre e dovunque tutto intiero. E' il gran principio dell'immanenza, ogni giorno più evidente e meglio verificato» (p. 374). Quindi la «materia esiste certo, ma non esiste che nello spirito e per esso, interiormente e relativamente allo spirito» (p. 337). La realtà (esistenza) è resistenza alla dissoluzione e fecondità inesauribile, definita così per rapporto al pensiero, o meglio allo sforzo assimilatore del pensante (p. 157). La vita anch'essa è definita come rapporto: il vivente è un centro di percezione e di iniziativa (p. 164). Il corpo è una sorgente di apparenze, una serie di fenomeni sensibili regolarmente incatenati. La materia è l'insieme dei corpi; essa sembra discontinua al pensiero comune, frammentata in oggetti radicalmente distinti gli uni dagli altri, ma al pensiero scientifico essa apparisce continua (p. 161). Il morcelage, la distinzione degli esseri corporei, non ha che un senso pratico e un valore utilitario, non una verità assoluta. Un corpo non è che un punto di vista sull'insieme, un centro di coordinazione (p. 238). Il noumeno di ciascuna cosa od oggetto è il tutto.[6] Quindi anche non esistono nature nel significato antico della parola La natura chiusa e separata è una funzione astratta, un'entità logica, un simbolo concettuale (p. 60). La natura umana è più un progresso, un divenire, che una cosa. Essa non è esprimibile con un concetto costituito una volta per tutte. E' aperta e dinamica. E', per essenza, vita, durata, invenzione (p. 62). La realtà è dunque perennemente mobile, come la verità. Ogni fatto, ogni cosa, è un momento di essa ed è anche, un momento del nostro pensiero. Il fatto scientifico non entra dal di fuori nella scienza, si sviluppa da questa, ne emerge (p. 372). Se la scienza, non essendo di realtà comunque fisse, non può essere definita che in termini di azione, le teorie sono dei dati che appartengono all'ordine dell'azione (p. 69). In qualche luogo il Le Roy sembra concedere essere l'immanenza un metodo che ci conduce alla trascendenza. Ma questa concessione è contraria alla sua filosofia. Egli ripugna infatti ad ogni principio esteriore di azione dello spirito. «Io suppongo acquisita l'idea del Dio interiore... d'un principio immanente alla nostra vita stessa, che ci muove, ci lavora, ci dilata, che ci forza a sorpassarci ogni giorno... Suppongo che una quadruplice critica, del senso comune, della percezione, della scienza, dell'intendimento, abbia messo in luce la subordinazione di tutto l'ordine materiale discorsivo all'attività dello spirito; così che sia impossibile, sotto pena di circolo vizioso, una spiegazione riduttrice del Dio interiore. Ciò posto che cosa constatiamo? Che Dio è la condizione stessa della nostra personalità; che dare a lui è il modo, per noi, di divenire di più in più, secondo tutta la ricchezza della parola, una persona; che, d'altra parte, egli opera in noi e manifesta ad ogni momento nel nostro stesso spirito la sua presenza profonda, la sua efficacia vivificante» (p. 148). Queste parole, per il momento, noi dobbiamo intenderle in senso immanentista; secondo queste altre parole: «L'atto di posizione creatrice può essere rischiarato, non dal di fuori e d'un subito, ma nel suo divenire stesso e dal di dentro. E' quello che io chiamo pensiero-azione» (p. 377). E Dio, secondo questa concezione, è sovranamente reale, come sorgente ineffabile della realtà, perché egli è «la legge di vita che ordina (dall'interno) allo spirito (che è la realtà vera) di superar sempre ogni opera compiuta, ogni stato realizzato, e l'ispirazione vivificante che gli misura la forza di muoversi così in un progresso senza limiti» (p. 159). Noi avevamo già indicato, prima di ricorrere al Le Roy, questo concetto del divino; secondo esso, il divino, categoria del tutto, è nella realtà, che diviene, non al di fuori di questa e accanto ad essa, come presenza ed attività virtualiter transiens della causa trascendentale e immutabile nell'oggetto creato da essa, ma come attributo essenziale di questa realtà, slancio vitale ed originario che non si esaurisce in alcuna manifestazione concreta; è la postulazione immanente dell'azione che verrà, il non realizzato che preme sull'attualità reale per porsi; è l'attualità stessa in quanto azione creatrice, jallissement continuo dell'essere, ineffabile tendenza ad una integrazione sempre più alta dello spirito stesso, che in sé integra insieme la realtà tutta quanta.

Più precisamente, anzi, per il Le Roy, consenziente sostanzialmente con il Bergson e gli altri[7], ma sollecito di fare del divino, o di Dio, una categoria distinta dalle altre nozioni trascendentali, Dio non è l'essere profondo unico fluente noumenale delle cose, ma è uno speciale momento di esse, il momento morale. Non possiamo far di meglio che. riferir qui, anche perché non ci si accusi di voler forzare le dottrine, le sue stesse parole, dallo scritto citato: Comment se pose le problème de Dieu. Caratterizzata la realtà morale, quale ci apparisce nello spirito umano, egli scrive: «Cette realité morale, esprit de notre esprit, est radicalement irréductible à toute autre forme de realité, de par sa piace même au sommet ou plutôt a la source de l'existence. Il faut donc affirmer son primat, et c'est cette affirmation même qui constitue l'affirmation de Dieu (pag. 70)». E prima aveva detto (pag. 61): «L'affirmation de Dieu; c'est l'affirmation de la realitê morale, comme realité autonome, indépendante, irréductible, et même peut-être comme realité première».

Noi accenneremo in seguito brevemente allo sforzo che il Le Roy compie, non ostante questa sua concezione sostanzialmente panteistica (egli non ripudia, del resto, il nome, benché poi gli dia un significato speciale) per contenere nella sua filosofia il cattolicismo: vogliamo quindi, non ostante queste citazioni che abbiamo preso da lui, che egli sia escluso da questa prima categoria di filosofi, ancora indipendenti da qualsiasi preoccupazione positivamente religiosa. Ma nella dottrina indicata il lettore vedrà facilmente la esclusione, non dell'intellettualismo, applicato al domma, e d'una interpretazione intellettualistica del domma, sibbene una decisa ed assoluta esclusione dei dati di questo, come essi sono comunemente intesi; la negazione, come obiettava il Wehrlé al Le Roy, della sostanza stessa del domma cristiano.


§ 3. — Il Prammatismo.


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§ 4. — La filosofia della fede di E. Le Roy.


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§ 5. — La filosofia dell'azione.


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§ 6. — L'intuizionismo mistico.


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§ 7. — Come il volontarismo è designato nell'enciclica.


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§ 7. — Come il volontarismo è designato nell'enciclica.


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Note

[1] Chi voglia vedere come altre scuole filosofiche contemporanee, p. es. quella del Wundt o quella del Mach in Germania, si ricolleghino alla filosofia della contingenza in un indirizzo comune vegga Vili A: l'idealismo moderno, Bocca, 1904, o Höffding: Philosophes contemporains, Alcan, 1907.


[2] Giustamente G. amendola (in Prose, aprile-maggio 1907) riduceva a queste nozioni essenziali del contingentismo anche l'universale concreto di B. Croce, il superamento dei contrarii nella nozione unitaria del divenire. Vedremo più innanzi il monismo distinguersi in due grandi correnti: l'intellettualistica, o egheliana, e la volontaristica.


[3] L'évolution créatrice, Alcan, 1907.


[4] V. Poincaré, La valeur de la science, Paris, e Duhem, La theorie phisique, son objet et sa structure, Paris, 1906.


[5] Citiamo dal volume: Dogme et crìtìque di E. le Roy (Bloud, 1907), Trattandosi di nozioni, e non di prove, ci è parso utile raccoglierle pressoché tutte da un volume, che ne abbonda; il lettore potrà così più facilmente verificare.


[6] In Comment se pose le problème de Dieu, Extrait de la Revue de métaphysique et de morale, A. Colin, Paris, passim.


[7] L'identità sostanziale delle idee filosofiche di Bergson e di Le Roy, salvo lo sforzo che questo secondo fa di trarre da esse una filosofia del domma, è dimostrata più evidentemente dal recentissimo lavoro del secondo: Comment se pose ecc, nel quale l'Évolution créatrice del Bergson è spesso citata, con pieno assentimento.



Indice




Capo II. La filosofia della religione.




§ I. — Il bisogno religioso


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2. — Psicologia della religione


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§ 3. — II linguaggio religioso


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§ 4. — II linguaggio religioso nel monismo Idealistico


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§ 5. — II linguaggio religioso nel realismo tradizionale


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§ 6. — Ispirazione, rivelazione, tradizione, magistero


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§ 7. — II concetto di Chiesa presso i moderni.


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§ 8. — Filosofia delle religioni comparate


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Capo III. La critica storica e la filosofia della fede.



§ I. — L'esperienza religiosa, in genere


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§ 2. — La filosofia della fede tradizionale


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§ 3. — La nuova filosofia della fede


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§ 4. — Il superamento della fede nel monismo intellettualistico


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§ 5. — La critica storica e il suo ufficio


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§ 6. — L'evoluzione della dottrina


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Capo IV. Monismo e dualismo.



§ I. — La filosofia antica alla riscossa


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§ 2. — Dal criticismo al monismo


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§ 3. — I caratteri della conoscenza razionale


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§ 4. — I limiti del problema critico


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§ 5. — Le basi del dualismo


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§ 6. — L'Assoluto come esistenza a sé


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§ 7. — La conoscenza e lo spirito


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§ 8. — Il Dio della filosofia e il Dio della fede


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§ 9. — L'illogica del divenire


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Epilogo — L'oggetto della fede.



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Appendice — La filosofia del modernismo.



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