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"Romolo Murri"

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ROMOLO MURRI

L'ULIVO DI SÀNTENA


1930


Indice


I. — I contraenti — Stato e Chiesa in generale


II. — L'Italia religiosa dopo il 1870


III. — La Questione Romana da Pio IX a Pio XI


IV. — La politica ecclesiastica del fascismo


V. — Spirito e portata degli accordi nella interpretazione ecclesiastica


VI. — Prime impressioni della stampa


VII. — Spirito e portata degli accordi nell'interpretazione fascista


VIII. — Il Trattato


IX. — Inscindibilità e interpretazione autentica degli atti lateranesi


X. — Libertà di coscienza e di culto


XI. — Dottrina fascista dello Stato


XII. — La polemica continua


XIII. — Gli accordi lateranesi e la religione degli italiani


XIV. — Religione, filosofia e scuola media


XV. — L'articolo 39 del Concordato


XVI. — Cultura ecclesiastica e laica nell'unità nazionale


XVII. — L'ulivo di Sàntena


Post scriptum





All'annuncio clamoroso della riconciliazione avvenuta tra Stato e Chiesa in Italia e della firma degli accordi lateranensi molti italiani ebbero l'impressione che non solo il dissidio politico esprimentesi nella annosa «questione romana» avesse avuto fine, e fossero state poste le basi di una politica ecclesiastica del Regno regolata da norme sancite di comune accordo fra l'autorità ecclesiastica e la civile (ed era già moltissimo); ma che religione e politica, società ecclesiastica, assommantesi nel papato, e società civile, assommantesi nel regime fascista, avessero oramai trovato la coincidenza delle loro fondamentali direttive spirituali ed aspirazioni storiche; e che, risolto nelle coscienze ogni dissidio interiore, unificate nazionalmente le stesse coscienze nella sintesi cottolicismo-fascismo, tutto, oramai, nella vita religiosa-civile degli italiani, dovesse procedere felicissimamente, come acqua che va per la lieve libera china; e dal presente afflatto del Nume conciliatore un nuovo vigorosissimo impulso riceverebbero la vita religiosa e le attività civili degli italiani: servendo la fedeltà dell'Italia alla causa dell'universalità cattolica nel mondo e servendo questa universalità all'espansione dell'Italia nel mondo. Iam novus ab integro saeclorum nascitur ordo. Per trovar nella storia qualche cosa di simile era necessario risalire alla ricostituzione dell'impero romano in occidente: a quella notte di Natale dell'anno 799 quando Leone III, nella chiesa di S. Maria Maggiore qui in Roma, impose a re Carlo la fulgente corona imperiale; o alla invocazione di Pio IX: Gran Dio, benedite l'Italia.

Era una troppo facile e comoda illusione; e il risveglio fu alquanto amaro. Una polemica fra «Tribuna» e «Osservatore Romano» fu un primo brontolio di tuono all'orizzonte. L'annunzio della presentazione del disegno di legge sulla libertà dei culti gettò l'allarme fra i cattolici. Nelle relazioni parlamentari ai disegni di legge per l'esecuzione degli accordi erano frasi sconcertanti. Il discorso di Mussolini alla Camera dimostrò viva ed operosa nello Stato il quale si preparava ad eseguire gli accordi una chiara coscienza dei suoi proprii valori ed una possente volontà dei suoi proprii fini, di fronte al clero, il cui capo tornava ed essere un sovrano civile.

La realtà della cosa era, dunque, alquanto più complessa dei rosei sogni conciliatoristi. Quella pienezza di pace e di collaborazione della quale molti, supponendola raggiunta, si rallegravano è — e tanta storia stava già a dimostrarlo — impossibile, per ragioni di una semplicità elementare e di grande evidenza storica. Il concordato è di qua da quella pace.


La Chiesa ha una direttiva lineare. Prende l'uomo caduto, peccatore, tendente al basso, e lo spinge in alto. Lo prende tutto, perché non c'è parte di esso che non sia intrisa di peccato, che, lasciata a sé, non tenda a ricadere e a riportare tutto in basso; lo sorregge, lo eleva. Pegno della salvezza, la piena docile fedele adesione di esso uomo peccatore a questa potenza salvatrice, la Chiesa. Chiunque si distacca da essa, anche pensando di aver, trovato un Dio più intimo e più prezioso, è abbandonato, cade. Questa umanità saliente ha un corpo di ministri della salvezza, santificati dall'ordine che ricevono, ha un capo solo, il papa, è come una immensa piramide il cui vertice, il papa, è, con la sua infallibilità e l'assidua assistenza divina, quasi nel cielo.

Fuori della Chiesa non solo non c'è salvezza, ma non vi sono forze salvatrici: non c'è che peccato e rovine. Un poco di salvezza resta nel cristianesimo degli staccati e dispersi, sinché il distacco è ingenuo errore ereditato dai padri; ma ravvivare quel distacco, rifarlo presente, opporre questi rami staccati dal ceppo della Chiesa romana, è empietà e delitto; tanto più grave quando esso si compia in Italia e qui in. Roma, sotto gli occhi medesimi del Padre. La tolleranza verso questi sforzi, diceva elegantemente uno scrittore cattolicissimo, non può essere che del genere medesimo di quella che si ha per certe case... ammesse.

Lo Stato... una delle due. O esso entra nel piano provvidenziale di questa salvezza dell'umanità, commessa alla Chiesa, accetta dalla Chiesa religione e morale, fa ungere da essa i suoi re, mette le sue forze a disposizione del ministero di lei, modella, quando la differenza sarebbe dissenso, la sua legge civile sulla legge canonica; e, posto così sotto la protezione della Chiesa, esso può, deve anzi, essere accolto con disciplinato ossequio dai sudditi. Se non fa questo, perde la forza che lo reggeva, lo portava verso l'alto, e cade, anche esso; cade, come tutte le cose umane intrise di peccato, contaminate da una inestricabile solidarietà di peccato, sinché la grazia non le tocchi. Lo Stato, come la famiglia, come molti istituti e tradizioni civili, sorge dal diritto naturale, tende all'attuazione di doveri profondamente umani, e merita quindi rispetto e tutela: ma i suoi sforzi sono irriti, se non è anche esso salvato dal male.

La Chiesa accetterebbe la teoria giolittiana delle parallele purché corretta in questo senso: che l'una linea sale e l'altra scende; e che l'una, quella della Chiesa, ha un distacco netto al basso e sfocia, in alto, nell'infinito; l'altra ha una insanabile frattura in alto, verso il cielo, che solo dalla Chiesa può essere colmata, e sfocia quindi, per suo conto, liberamente nella perdizione: per far cammino inverso. in alto, deve lo Stato lasciarsi percorrer tutto, attraverso quella frattura sanata, dai tesori di salvezza della Chiesa.

Lo stesso vale per tutte le forme ed i modi dell'attività umana; o ricevono la linfa salvatrice, e con essa la norma morale, dalla Chiesa, e si salvano. o sono senza quella linfa e, ineluttabilmente, si corrompono e si perdono. Carne, mondo, demonio: la modernità, inariditi o rallentati i veicoli della salvezza derivanti dal fonte vivo delle acque salutari che è Cristo Re nella sua Chiesa regale, va sempre più impaludandosi ed intristendo nel peccato: palude tutta riscintillante di false luci e commossa di irrequieta vivacità di forme fallaci, ma quam circum flumina nigra sonant.


Lo Stato dell'età di mezzo, continuatosi qua e là, per evidenti propaggini, sino a ieri, lo Stato «confessionista» o «confessionale nel vecchio senso della parola» accettava questo suo ecclesiastico collegamento all'eterno e questa necessaria derivazione di salvezza attraverso la Chiesa. Il litigio durava interminabile e sempre nuovo perché c'era sempre qualche cosa di mendace in quella accettazione —; ma il principio, nella coscienza religiosa delle due parti, restava. Trattare era quindi sempre facile, per via di quel principio comune, anche se l'intendersi fosse spesso difficile e l'intesa sempre labile.

Per lo Stato «moderno» — che è poi lo Stato giunto ad una più chiara consapevolezza di sé, delle sue ragioni e della sua consistenza ideale: sarebbe quindi più preciso dire: per lo Stato, oggi, quale noi lo sentiamo e viviamo — la cosa è alquanto più complessa. Esso non si pone sulla traiettoria, mistica ed ecclesiastica, che va dalla perdizione originaria, e. dalla natura umana malata, alla infinita salvezza; risiede nel presente: e nell'infinito complesso di beni e di mali, di virtù e difetti che è la società d'uomini, storicamente definita, dalla quale emerge, esso costruisce la propria personalità morale, le sue leggi e istituti, il suo governare in atto: così che i cittadini, ritrovandosi in esso e partecipando ad esso, si sentono più ricchi di concreta universalità, sicuri nel diritto, più potenti nel bene. Delle forze che, in questa società storicamente data, operano per il bene, alcune lo Stato sente di poter usare e dominare come cosa sua, con decisione non dipedente da alcuna norma esterna: esso tutela il patrimonio spirituale comune a tutto un popolo e proprio di questo, ne assicura, organizzando ogni forma necessaria di scuola, la trasmissione, fa l'unità morale e civile dei cittadini nel senso della comune lingua, dei comuni istituti, dei comuni beni: eleva il tenore di vita, il grado di cultura, le attitudini tecniche e creatrici dei suoi socii; dà all'indipendenza, alla unità morale, alle attività culturali del popolo che rappresenta un valore di contributo all'arricchimento di una civiltà.

Nell'unità della nazione, nell'unità delle generazioni che vi si succedono, lo Stato, oggi, è veramente anche esso una società di anime, avente un suo proprio, non mutuato, non riflesso, valore, spirituale e quindi religioso.

Della religione questo Stato non si disinteressa. Ma esso avrebbe egualmente torto così se volesse averne una sua, di Stato, da far valere di autorità e da opporre alle altre che cittadini suoi professassero; come se ne prendesse una non sua, ma di una Chiesa, di una confessione, di un istituto religioso, ed agisse quindi come strumento docile di essa, escludendo le altre. Lo Stato non può farsi, esso, Chiesa e mutare così sostanzialmente la sua stessa costituzione; non può, perché ha oramai definitivamente riconosciuto l'incongruenza dell'usare della forza della quale dispone, degli istituti che esso organizza per tutti i cittadini, quale che si sia la loro fede, secondo le viste, la disciplina, gli interessi di un istituto ecclesiastico speciale.

In fatto di religioni istituzionali il pensiero — diremmo quasi: la religione dello Stato moderno è oggi questo: la fede, la confessione religiosa dei cittadini, anche se è quella della grandissima maggioranza di essi, anche se è quella cui lo Stato medesimo riconosce questa posizione storica di possesso e che esso 'favorisce ed aiuta a compiere la sua funzione e dichiara anche religione dello Stato medesimo — la cattolica in Italia, in Spagna, ecc. o la luterana in Prussia o l'anglicana in Inghilterra — dovrà tuttavia sempre rimanere libera scelta e adesione personale dei cittadini, all'infuori di qualsiasi pressione o coazione, diretta o indiretta, dello Stato medesimo. Ed è, questo, non un criterio semplicemente politico, sostanzialmente agnostico, ma un giudizio di valore e giudizio di valore religioso; un limite che lo Stato si impone non per agnosticismo, ma perché ritiene, con sovrano giudizio, non poter la religione dare i suoi buoni frutti, nelle coscienze e nella vita sociale, se non è, di quelle coscienze medesime, intima persuasione, personale conquista e possesso, consapevole disciplina morale. Questo, certo, intendeva il ministro di giustizia e degli affari di culto, on. Rocco, quando diceva alla Camera il 14 maggio: «Non discendono necessariamente da questi principii (essere lo Stato italiano cattolico) ma piuttosto da quello della libertà religiosa, le garanzie assicurate alla Chiesa per il libero esercizio del suo potere spirituale e della sua giurisdizione in materia ecclesiastica».

E così certamente intese Cavour il problema del costituirsi del nuovo Stato italiano, di fronte alla opposizione ecclesiastica, e il problema dei futuri rapporti del nuovo Stato, quando esso fosse costituito, in Italia e in Roma capitale d'Italia, con la Chiesa e con la sede romana. Egli non era temperamento di mistico, non era cattolico in tutto professante e pur si dichiarava, con piena sincerità, e non per opportunità politica, cattolico. Ma educato un poco alla scuola religiosa ginevrina, fiorente negli anni della sua giovinezza e da lui frequentata per strette parentele che vi aveva, egli aveva anche con piena. consapevolezza aderito al concetto qui espresso della libertà religiosa, per quel che riguarda lo Stato e l'opera di esso. E a Parigi, frequentando e ascoltando alcuni dei più noti ed eloquenti cattolici liberali del tempo, aveva finito di persuadersi che la distinzione netta dallo Stato, la rinunzia al concorso di questo per premere sulle coscienze e far montare la guardia all'ortodossia, la libera discussione religiosa avrebbero grandemente giovato alla Chiesa cattolica, che egli riteneva la vera e la buona, ed alla Santa Sede, alla quale nuoceva sempre più il confondere in sé due reggimenti.

E la sua formula: libera Chiesa in libero Stato, paradossale ed incongrua quando si abbiano presenti solo i due istituti come tali e il loro mutuo rapporto, è ancora e sempre la vera se la si interpreti, come pensiamo si debba interpretarla, semplicemente così: In Stato proclamante la libertà religiosa, libera adesione dei cittadini, e dello Stato medesimo, alla Chiesa cattolica.

Le pagine che seguono vogliono essere una serena ed obiettiva esposizione e documentazione, non degli accordi lateranesi nel loro vario contenuto, ma del pensiero e dell'animo che Stato e Chiesa ebbero, ciascuno dalla sua parte, nello stringere quegli accordi. Chiarire le differenze ideali e anche chiarire il campo delle possibili collaborazioni pratiche.

Il dissidio ideale non è insanabile, e non impedisce quindi queste collaborazioni pratiche, appunto perché la posizione presa dallo Stato, se non soddisfa e non può soddisfare l'istituto ecclesiastico, ha il grande merito e vantaggio di essere storicamente comprensiva; di porre allo Stato medesimo, nei rapporti con la vita religiosa, e, indirettamente, ai futuri sviluppi di questa, una norma ed una premessa, di interiorità, di sincerità, di caldo appello alla testimonianza dei frutti, che moltissime coscienze cattoliche, le quali hanno anche per sé una grande e antica e costante tradizione italiana, dallo «stil nuovo» e dalla Commedia di Dante sino al discorso di Musolini del 13 maggio, accettano e desiderano vedere sempre più largamente applicate.


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I. — I contraenti — Stato e Chiesa in generale



Sezione non disponibile per motivi di copyright. Il testo diverrà di pubblico dominio solo a partire dall'aprile 2014.


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II. — L'Italia religiosa dopo il 1870



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III. — La Questione Romana da Pio IX a Pio XI



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IV. — La politica ecclesiastica del fascismo



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V. — Spirito e portata degli accordi nella interpretazione ecclesiastica



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VI. — Prime impressioni della stampa



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VII. — Spirito e portata degli accordi nell'interpretazione fascista



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VIII. — Il Trattato



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IX. — Inscindibilità e interpretazione autentica degli atti lateranesi



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X. — Libertà di coscienza e di culto



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XI. — Dottrina fascista dello Stato



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XII. — La polemica continua



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XIII. — Gli accordi lateranesi e la religione degli italiani



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XIV. — Religione, filosofia e scuola media



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XV. — L'articolo 39 del Concordato



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XVI. — Cultura ecclesiastica e laica nell'unità nazionale



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XVII. — L'ulivo di Sàntena



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Post scriptum



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