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"Romolo Murri"

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ROMOLO MURRI

DELLA RELIGIONE, DELLA CHIESA E DELLO STATO

considerazioni di ROMOLO MURRI, Deputato al Parlamento, con speciale riguardo alle relazioni fra la Chiesa e lo Stato nella vita e nelle leggi italiane.


1910


Indice


Al lettore


CAPITOLO I.
Che cosa è, veramente, la religione.


CAPITOLO II.
La società in genere.


CAPITOLO III.
Stato e Chiesa in generale.


CAPITOLO IV.
Stato e Chiesa nella storia italiana.


CAPITOLO V.
Per una nuova politica ecclesiastica.


CAPITOLO VI.
Nuova politica ecclesiastica. Linee principali.


CAPITOLO VII.
Ordini e congregazioni religiose.





AL LETTORE



Che il momento sia venuto, o stia per venire, in Italia, di riprendere in esame la questione della nostra politica ecclesiastica pochi oggi negherebbero: tanto sicuri ed evidenti ne sono i segni.

Si osservi, infatti: L'istituto ecclesiastico che solo ha importanza politica in Italia — e l'ha grandissima ancora, — la Chiesa cattolica romana, soffre di una vivace crisi interiore, il modernismo, la quale si riflette nell'atteggiamento di esso in tutte le attività di pensiero e di azione; il materialismo, che fu per più decennii la filosofia della vita di moltissimi italiani, tranquillamente posseduta e spontaneamente praticata, ha rivelato la sua superficialità ed insufficienza radicale a risolvere i problemi morali, e il dubbio entrato in molte coscienze le lascia irrequiete ed insoddisfatte: correnti idealistiche e spiritualistiche rinascono nel mondo del pensiero e della cultura e risollevano il problema della religiosità e delle religioni e del loro ufficio e valore nella storia dello spirito; la democrazia vede attenuarsi e stancarsi e dileguare le energie spirituali che le avevano dato vigore ed è potentemente richiamata a dedicare la sua attenzione ai problemi dello spirito e della educazione morale; il clero e i cattolici organizzati sono entrati ufficialmente ed apertamente nella vita politica del paese, moltiplicano la loro attività, costringono molti a decidersi ed a stare o contro di essi o con essi; e fra quelli che preferiscono stare con essi ve ne sono molti mossi da motivi puramente economici e politici; il che dà luogo a confusioni ed infingimenti ed ipocrisie che pesano sulle coscienze e creano un profondo disagio spirituale. La questione della scuola primaria occupa tutti gli animi e ad essa è intimamente connessa l'altra delle fonti e dei sussidi d'una efficace educazione etica, per la quale la scuola divenga veramente la formatrice spirituale delle nuove generazioni.

Non fa meraviglia, quindi, che per tante vie e diremmo quasi prepotentemente la questione del clericalismo od anticlericalismo complichi ed aggravi le crisi politiche, irrompa nei dibattiti, provochi nuovi studii e nuovi orientamenti, dia luogo alla ricerca, che si sta facendo da molte parti, di una logica e adatta soluzione del problema ecclesiastico.

E non fa meraviglia; anche, che moltissimi si affatichino in tutti i modi, nella Camera e nei partiti e nei consigli amministrativi, ad alzar barriere e scavare fosse contro l'avanzare inesorabile della questione; poiché essa è di quelle che, una volta affrontate, dividono gli animi profondamente e prevalgono su molti interessi particolari e rompono e sciolgono vecchi aggruppamenti, provocandone altri più, spiritualmente omogenei.

Scarse e povere sono le ragioni che adducono i sostenitori dell'aclericalismo. Essi dicono: La questione ecclesiastica getterebbe il paese in agitazioni infeconde. Certo essa creerebbe delle larghe agitazioni; ma non si è mai detto che dalla vita pubblica debbano essere escluse le agitazioni. Cioè, si è detto per molto tempo, fu anzi canone fondamentale di governo, quando la politica era fatta dalla Chiesa o dall'impero o dalle dinastie o da classi e corpi privilegiati, e a tutti gli altri si predicava la docilità, mettendo Dio dietro e sopra la figura del padrone; oggi, se il popolo c'è per qualche cosa nella politica, i criterii direttivi di questa debbono emergere appunto dalle agitazioni e dalle discussioni attraverso alle quali si forma l'opinione pubblica prevalente. Che questa agitazione sarebbe infeconda rimane da provare. Non solo; ma a qualunque studioso di cose dello spirito l'affermazione apparisce senz'altro incredibile. Poiché, fra tutti i problemi dei quali l'uomo si interessa e nello scioglimento dei quali si esercita lo sforzo della vita, quelli che riguardano l'uomo stesso, le ragioni ed i fini della sua vita, le origini e i processi delle attività volitive e delle energie creatrici dello spirito, i rapporti fra uomini come coscienze e soggetti autonomi di vita, sono senza dubbio i più importanti ed assillanti.

La questione è solo di sapere se di politica ecclesiastica o, direi quasi, con frase più larga, della politica dello spirito noi siamo tratti ad occuparci da una reale necessità che è nella nostra vita interiore ed esterna di individui e di popoli, o se invece artificialmente alcuni cercano, per scopi particolaristici, di suscitare ed imporre un tale argomento e interesse; e di questo abbiamo già detto.

Si aggiunge: Il problema, che voi pretendete risuscitare, è risolto. Non sanciscono, infatti, le nostre leggi, la più ampia e sicura libertà, per tutti, di avere la fede e di esercitare il culto che vogliono?

Questo è, appunto, che si domanda se sia vero. Certo una forma determinata di intolleranza religiosa è definitivamente sparita dalle leggi e dai costumi, e una corrispondente forma di libertà è definitivamente acquisita. Dalla culla al sepolcro il cittadino odierno ordina come vuole la sua vita dal punto di vista religioso e del culto, senza che lo Stato se ne inquieti menomamente. Ma, dall'altra parte: non c'è in Italia una religione ufficialmente riconosciuta? Non è lo Stato l'amministratore di una Chiesa e non si immischia, per molte vie, nelle faccende di questa? Non sono enti morali e giuridici, sanciti e protetti dallo Stato nel loro speciale carattere di istituii religiosi, molti corpi d'indole puramente ecclesiastica e di culto? Non gode, un corpo gerarchico, di una enorme quantità di ricchezze appartenenti in solido alla comunità de' credenti? Non esercita la Chiesa, come Chiesa, direttamente una azione politica, economica ed elettorale? E quindi in quanto questa Chiesa è o si va trasformando in partito politico, non abbiamo noi l'assurdo di un partito politico privilegiato? E non esiste, sia per molti cattolici i quali trovano invecchiato e vizioso l'antico regime interno della comunità dei cattolici, sia per molti non cattolici, il problema della associazione a scopo di culto, come parte del più vasto problema del diritto di associazione, così imperfettamente risolto presso di noi, pel pregiudizio rivoluzionario? Da queste sole domande apparisce che il problema della libertà religiosa e dei rapporti fra la società religiosa e lo Stato è lungi dall'essere intieramente risolto.

Si dice ancora: L'Italia è paese equilibrato e sereno; non si interessa molto di cose religiose; non vuole in alcun modo persecuzioni e sopraffazioni. Che l'Italia sia paese equilibrato e sereno vorremmo, ora, ammettere volontieri; vorrà dire che il problema di una nuova politica ecclesiastica sarà risolto in modo equilibrato e sereno, anche esso. Che non si occupi molto di questioni religiose può essere anche vero. Almeno è stato vero per molto tempo, da quando la reazione cattolica soffocò ogni iniziativa dello spirito religioso. Ma questo disinteresse può essere anche segno e causa di decadenza; e l'interesse risorgente, segno e causa di una rinascita spirituale che importa secondare ed incoraggiare.

Non si vogliono persecuzioni. Giustissimo. Ma abbiamo appunto detto che si tratta non di perseguitare alcuno, ma di giungere alla piena libertà religiosa, alla quale deve corrispondere una piena e sincera laicità dello Stato. Che la nuova soluzione sopprima dei privilegi turbi degli interessi minacci delle clientele e che quindi tutti i colpiti gridino alla persecuzione è naturale; ma per aver diritto di invocare la libertà è necessario collocarsi su di un terreno di libertà ed accettare la parità di condizioni di lotta fra liberi, innanzi alla legge: parlar di libertà per difendere la continuazione di un privilegio e di un diritto speciale, voluti e difesi l'uno e l'altro appunto come barriere contro il crescere delle libertà e della autonomia umana, è una menzogna ed una irrisione.

Ma parecchi i quali sanno che chi ha scritto questo volume è uno dei così detti modernisti ed ha avuto particolari difficoltà con la gerarchia e col papa, diranno, come hanno altre volte detto: ma voi cercate di immischiare lo Stato in una vostra querela intestina fra cattolici; non lo volete sinceramente neutrale, ma chiedete il suo appoggio per voi, contro quegli altri.

Può essere opportuno dir questo, perché non manca di qualche indice esterno di verisimiglianza; e può quindi giovare a suscitar diffidenze contro di noi. Ma non è giusto. E talora per dir questo si è dovuto travisare espressamente il nostro pensiero.

Il modernismo è molte e varie cose; esso involge questioni numerose e complesse di filosofia della fede, di psicologia, di critica storica e filologica. Lo Stato non c'entra, ed un suo intervento in proposito non è neanche imaginabile. Ma c'è un punto della questione, c'è una fra le molte rivendicazioni modernistiche nella quale lo Stato entra, appunto perché si tratta di esso e di rapporti con esso. Noi vogliamo democratizzare la Chiesa. La Chiesa cattolica romana è ancora, per molta parte, un istituto giuridico e politico recante l'impronta manifesta dei tempi in cui crebbe e si sviluppò in forma di organizzazione politica, penetrante e limitante in mille modi il campo proprio dell'attività dello Stato. Fra una Chiesa di Stato, cioè ufficialmente riconosciuta e protetta, avente un diritto proprio incorporato in quello dei codici civili, avente un patrimonio amministrato in varie forme dai poteri pubblici, e lo Stato medesimo, la differenza non è che empirica: idealmente, in tutti questi rapporti, Chiesa e Stato coincidono. E in quanto la società ecclesiastica ha bisogno di raccogliersi ed organizzarsi in istituti giuridici, per possedere ed agire civilmente e svolgere in pace le sue attività esteriori, la costituzione di questo diritto della Chiesa è creazione di diritto, e quindi atto di sovranità civile, o era dello Stato, per definizione. L'importante è vedere se lo Stato offre solo alle società religiose le maniere e gli istituti formali della loro attività esteriore, o se interviene con un giudizio di merito, riconoscendo una Chiesa in quanto tale, attribuendole privilegi ed imponendole oneri speciali. Dire, ad esempio, che lo Stato non deve interessarsi del riordinamento della proprietà ecclesiastica, quando, a tacere del resto, esso ha creato o sancito, con sue leggi, l'ordinamento attuale e, sentendo il carattere provvisorio e parziale di quell'opera sua, ha preso impegno di provvedere, è dir cosa assurda.

Ma è poi falso che questa democratizzazione della Chiesa, dal punto di vista della costituzione di essa nel campo dei rapporti giuridici, non interessi coloro i quali ci muovono queste difficoltà: li interessa, ma in senso precisamente opposto: essi non vogliono in realtà una tale democratizzazione, perché il loro interesse politico li spinge a volere ed a difendere la Chiesa così come essa è, istituto esteriore, vuoto assai spesso di ogni intima e vivace religiosità, avente in sua mano numerose anime timide e docili, atte a rendere determinati servigi politici. La psicologia della Camera del deputati, per tacere d'altro, è oggi data specialmente da questo: che ci sono circa duecento deputati i quali non vogliono esser costretti a scegliere fra i loro elettori clericali ed anticlericali per non scindere l'eterogeneo aggregato che è il loro corpo elettorale; se si trovassero dinanzi ad iniziative e progetti di leqqe riguardanti questioni che clericali e anticlericali hanno interesse a vedere risolte in modo opposto, o semplicemente dinanzi a un governo che irritasse i clericali, e dovessero scegliere, il fragile equilibrio di interessi privati e particolaristici che li sorregge sarebbe rotto.

E, d'altra parte, anche se tali questioni non interessassero la borghesia moderata e clericaleggiante, esse interessano in sommo grado la democrazia. E questo è il punto capitale. Perché la democrazia si trovi oggi ineluttabilmente innanzi alle questioni di politica ecclesiastica, perché essa debba compire l'opera, lasciata a metà dalia borghesia italiana, della piena laicizzazione della nostra vita pubblica, perché debba liberare la coscienza e lo spirito nazionale dall'oppressione di questa menzogna religiosa che contrista tante anime, perturba tante attività, trattiene e comprime tanta iniziativa, io spero di aver mostrato in questo volume, del quale questa dimostrazione è lo scopo principalissimo.

Il fatto si è che le menti sono ingombrate, a questo proposito, da innumerevoli pregiudizi, che pochi hanno visto o intravisto la realtà nuova la quale ha tolto valore e significato alle vecchie posizioni ed abitudini, alle frasi fatte, alle opinioni correnti, e le ha, superandole, vuotate di ogni contenuto vivo; e che, per trovar la via giusta, è necessario rifarsi da capo, riconsiderare i concetti fondamentali, ricordare il cammino che ci ha condotto alla presente condizione, lumeggiare le difficoltà vere del problema e le esigenze essenziali. Per questo io mi sono creduto in dovere di dedicare una prima parte di questo volume all'analisi dei concetti di Chiesa, società, diritto, democrazia, ecc., ed una seconda parte alla storia dalia questione, per venir poi ad indicare, in tratti sommarii, quella che dovrebbe essere la nuova politica ecclesiastica della democrazia italiana.

Ho cercato tuttavia di essere estremamente breve, nella storia e nell'analisi filosofica; ed, in quest'ultima, mi sono limitato a trarre delle conclusioni semplici e logiche da alcune concezioni dello spirito e delle sue attività che sono oramai patrimonio comune delle dottrine filosofiche degne di questo nome; senza polemizzare, senza entrare in analisi troppo minute, senza pretendere che il lettore sapesse che cosa, delle idee che espongo, sia propriamente mio, che cosa di dottrine e scuole filosofiche note; tanto meglio se il mio è pochissimo e se intorno alle più delle cose che dico si può presumere che sia oramai quasi unanime il consenso delle varie correnti filosofiche le quali, ripeto, meritino veramente questo nome.

Anche la parte pratica è estremamente sommaria, ma è tale che, quando le proposte che vi sono formulate ottenessero il consenso della democrazia, o, meglio, di tutti gli spiriti amanti della libertà e della sincerità, tutto il resto, da fare, diverrebbe molto facile.

Un'ultima osservazione. Chi leggerà attentamente queste pagine si persuaderà che una nuova politica ecclesiastica laica non implica in alcun modo offesa alla religiosità od alle religioni; che, anzi, essa è innanzi tutto richiesta dai progressi dello stesso spirito religioso, che si trovò per troppo tempo impastoiato e sacrificato netta rete di possenti interessi politici ed aspira a liberarsene, per ricuperare, nel campo sereno della vita interiore delle coscienze, tutta la sua efficacia educatrice.

L'AUTORE


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CAPITOLO I.
Che cosa è, veramente, la religione.



Sezione non disponibile per motivi di copyright. Il testo diverrà di pubblico dominio solo a partire dall'aprile 2014.


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CAPITOLO II.
La società in genere.



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CAPITOLO III.
Stato e Chiesa in generale.



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CAPITOLO IV.
Stato e Chiesa nella storia italiana.



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CAPITOLO V.
Per una nuova politica ecclesiastica.



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CAPITOLO VI.
Nuova politica ecclesiastica. Linee principali.



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CAPITOLO VII.
Ordini e congregazioni religiose.



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